Quanta energia ci costeranno i cambiamenti climatici?

Da diversi decenni è chiaro che i cambiamenti climatici stanno comportando rischi ambientali al di là di qualsiasi previsione, eppure stiamo solo iniziando a fare i conti con i potenziali disastri economici.

L’impatto del riscaldamento globale sull’economia energetica

Utilizzando modelli sempre più sofisticati, i ricercatori stanno calcolando la maniera in cui ogni aumento di grado legato al riscaldamento globale avrà impatto a livello globale in termini economici. Le loro proiezioni non possono, però, evitare di comprendere un certo livello di incertezza, a causa dell’instabilità del comportamento umano e delle questioni aperte riguardo alla reale velocità secondo la quale il pianeta risponderà all’accumulo di gas serra.

Quanto saranno permanenti i costi?

Quando pensiamo al danno economico di un pianeta più caldo è importante ricordare che non tutti i costi sono equivalenti: esiste, infatti, una grande differenza tra i costi elevati ma gestibili rispetto a quelli che derivanti da eventi catastrofici come carestie o crisi legate alla migrazione di massa.

Ad oggi si prendono in considerazione tre possibili modi in cui i cambiamenti climatici potrebbero influire a livello economico:

  • una zona agricola un tempo fertile entra in perenne stato di siccità a cause dell’aumento di temperatura, creando una carenza di risorse;
  • una strada distrutta dalle inondazioni a causa dell’aumento del livello del mare e da una maggiore frequenza degli uragani dev’essere ripetutamente ricostruita;
  • le infrastrutture legate al trasporto dell’energia devono essere ricostruite e perfezionate periodicamente per resistere alla violenza degli eventi climatici.

Il declino del rendimento dei terreni agricoli rappresenta una perdita permanente della capacità produttiva dell’economia, e porta con sé implicazioni monetarie peggiori di quelle che si potrebbero affrontare durante una recessione economica: infatti, se in questo caso c’è sempre la speranza di un ritorno a una normale periodo produttivo, in quello legato ai cambiamenti climatici si potrebbe non vedere mai la luce in fondo al tunnel.

La ricostruzione della strada potrebbe essere costosa, ma almeno quel denaro pagherà le persone e le imprese creando nuove occasioni di lavoro. Ma la società dovrà affrontare l’implicazione che vede le risorse necessarie per la ricostruzione non disponibili per altri progetti più preziosi.

Tutto ciò rappresenterebbe comunque una battuta d’arresto, ma tutto sommato non sarebbe una riduzione permanente del potenziale economico come nel caso dei terreni agricoli meno fertili; e, in un’ipotetica recessione, potrebbe anche costituire un netto positivo.
Al contrario, nuovi investimenti nella rete elettrica potrebbero produrre benefici a lungo termine in termini di efficienza energetica e maggiore affidabilità.

Lo “scottante” problema del raffreddamento

Le proiezioni riguardanti il riscaldamento globale portano a una domanda alla quale non è piacevole rispondere: con l’aumento di temperatura, quanta energia elettrica sarà necessaria per impianti di condizionamento più potenti e diffusi?

L’aumento della temperatura media, infatti, avrà un effetto impattante non solo sull’ambiente naturale, ma anche su quello creato dagli individui: negli edifici, soprattutto in climi già temperati, sarà necessario implementare un ciclo di raffreddamento quasi continuo; questo vuol dire che diversi Paesi aumenteranno la loro domanda di corrente elettrica necessaria per alimentare ventilatori e condizionatori.

I ricercatori hanno previsto un aumento di utilizzo dell’energia elettrica oscillante fra l’11% e il 27% entro il 2050, che incrementerà fino al 58% in quelle aree dove gli abitanti, a patto che queste zone siano ancora abitabili, dovranno far fronte a un aumento della temperatura.

Con la crisi energetica così dilagante nel panorama globale il problema delle emissioni inquinanti si somma a quello che si potrebbe sviluppare per quanto riguarda la difficoltà di trovare nuove fonti energetiche per sostenere un aumento del consumo di energia elettrica.

Carbon tax: una soluzione equa?

Di recente si è parlato molto dell’introduzione sulla cosiddetta tassa sui carburanti fossili, pensata per disincentivare i diversi Paesi a utilizzare fonti di energia che non comprendesse risorse rinnovabili come il fotovoltaico o l’eolico.

Questa “punizione” è stata diretta in maniera particolare a quei territori che, per una ragione o per l’altra, stanno dimostrando particolare ostilità all’idea di implementare la produzione di energia rinnovabile: USA, Cina e Russia sono alcuni dei nomi che appaiono sulla “lista dei cattivi”.

Purtroppo, però, non sempre il meccanismo della carbon tax avrà conseguenze eque. Queste dipendono dal tipo di impatto che il riscaldamento globale avrà su ogni territorio: per esempio, nel caso della Russia, l’aumento di temperatura permetterà al Paese di limitare l’utilizzo del carbone, incorrendo in tasse meno salate; se invece si prende in considerazione un paese già temperato come l’India, gli effetti catastrofici dell’effetto serra potrebbero costringere questo Paese a ricorrere a fonti di energia come il carbone che, pur non essendo non rinnovabile, sarebbe il materiale più facile da utilizzare per un’immediata produzione di energia.

Ne consegue che i costi delle tasse sul carbone impedirebbero all’economia di uno dei tanti Paesi in condizioni simili all’India di investire su impianti per l’utilizzo di risorse rinnovabili.

Insomma, i cambiamenti climatici potrebbero non solo impattare in maniera evidente l’economia energetica globale, ma potrebbero creare, in certi Paesi più che in altri, condizioni di diseguaglianza sociale difficilmente arginabili.

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